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IT-Ivana Spinelli-intervista De Leonardis-Kaboom
en-Ivana Spinelli-interview De Leonardis-Kaboom
“Una guerra di potere che s’insinua nella sostanza stessa degli oggetti, non semplici presenze di decoro all’interno della composizione, ma elementi che contestualizzano la storia e rafforzano il senso di precarietà. Niente è rimasto dell’aspetto innocuo e consolatorio di questi oggetti trovati.
L’idea del campo di battaglia è, del resto, insita anche nei materiali utilizzati da Ivana Spinelli. Dalla gommapiuma agli spilli d’acciaio, carta, fotografia, argilla, gesso, filo, cotone, legno, insetti… materiali che riflettono la dialettica degli opposti: morbidi e pungenti, effimeri e duraturi, costruiti e decostruiti, accoglienti e soffocanti, seducenti e respingenti.
Persino nell’immaginario l’artista prende le distanze dalla prevedibilità, trovando magari proprio nello stereotipo il punto di partenza per un sostanziale ribaltamento.
E’ così anche con l’amore, territorio di confronto tra due esseri umani, alla stessa maniera in cui coinvolge comunità e paesi diversi. Analoghi sono, infatti, i meccanismi alla base del loro funzionamento: pace, guerra.” Manuela De Leonardis
ONE WORD, ONE PIN
cartapesta, acciaio, filo, libro / papier-mâché, steel, thread, book / 29x21x19 cm, 2011
“Un dizionario di cultura popolare resta chiuso da una piccola roccia su cui sono appuntati degli enormi spilli. Sono elementi che utilizzo spesso, gli spilli che possono al tempo stesso cucire o pungere, e il libro, contenitore silenzioso finchè non viene aperto. In questo caso si intravede solo parte delle copertina, dove una pin-up ammicca come al solito.
Nel titolo “one word one pin” (una parola, uno spillo) davo altri elementi di lettura, dove ho pensato alle parole come spilli, con il loro portato ambiguo di appuntare, esporre dei concetti o, potenzialmente, bucarli, strapparli, massacrarli. Un po’ come sulla pelle della pin-up…”
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“A dictionary of popular culture is closed by a small rock with huge pins pinned on it: elements that I often use, pins that can at the same time sew or sting, and the book, a silent container until it is opened; you can see only part of the cover, where a pin-up winks as usual.
In the title “one word one pin” I gave other elements for interpretations, where I thought of words like pins, with their ambiguous bearing of pinning, exposing concepts or potentially puncturing, tearing, slaughtering them. A little like on the skin of the pin-up … “
GPU PASS CLANDESTINO
digital print mounted on dibond / stampa fotografica montata su dibond 60×40 cm each/cad., 2010
installation, variable dimensions (t-shirt, boxes, unreadible text) /installazione dimensioni variabili (t-shirt, scatole, testo illegibile)
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“In this case reality is the human condition of the migrant, translated in dress-code. The migrant travels because he is still alive, wants to feel alive, be useful. He abandons loved places which stop him living and carries risk together with dreams. The migrant dreams. He wears the hope of attaining bread with the journey and he stitches it to him, he stitches it to his skin with the wounds which cost. He wears his passport which speaks Italian, speaks of football, a true International Esperanto. Global Pin-Up (like any respected Brand) puts these dreams into production.” Bread sewn to the number of Totti’s football shirt – but it could be any famous Italian football star’s shirt – it becomes the visualization of the reasons and the hopes of the migrant. With the player’s shirt the immigrant tries to be recognized, accepted. He loves Italian football, knows that Totti is Italy’s champion and in showing that he knows it and recognizes it, he hopes to be in turn recognized. He doesn’t know that dress-code has no value and will probably understand too late that his love for Italian football, and for that number 10, probably won’t save him.
(from the Catalogue Caos#2 by Raffaele Gavarro)
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“In questo caso la realtà è la condizione umana del migrante, tradotta in dress-code. Il migrante viaggia perchè è ancora vivo, vuole sentirsi vivo, essere utile. Abbandona posti amati che gli impediscono di vivere e indossa il rischio insieme ai sogni. Il migrante sogna. Ha addosso la speranza di conquistarsi il pane col viaggio e se lo cuce addosso, se lo cuce sulla pelle con le ferite che costa. Indossa il suo passaporto che parla italiano, parla del calcio, vero Esperanto internazionale. Global Pin-Up (come ogni Brand che si rispetti) mette in produzione questi sogni.” Il pane cucito sulla maglia di Totti – ma potrebbe essere quella di qualunque altro calciatore famoso – diventa la visualizzazione delle ragioni e le speranze del migrante. Con quella t-shirt del grande calciatore, l’immigrato cerca di farsi riconoscere, accettare. Lui ama il calcio italiano, sa che Totti è un nostro campione, e nel mostrare che lo conosce e lo riconosce, spera a sua volta di essere riconosciuto. Non sa che quell dress-code ha valore zero e probabilmente capirà troppo tardi che l’amore per il nostro calcio, e per quel numero 10, probabilmente non lo salverà.
(estratto dal Catalogo Caos#2 di Raffaele Gavarro)
” La carta dell’Ente Comunale di Consumo che serviva ad incartare, avvolgere, contenere piccole dosi di beni di prima necessità; quella carta l’ho immaginata incartata, rivestita, esposta come prodotto di per sé, memoria vintage, oggetto da collezione, mezzo quotidiano che viene musealizzato, ready made commerciale.
Ho immaginato il Brand ECC proporre non più beni di consumo a prezzi calmierati ma un bene di lusso per intenditori. Ciò che dovrebbe incartare diventa il prodotto, mostrato e venduto come oggetto vintage, gioco estetico di cui osservare le sfumature di colore, le ombre, le macchie.
Il Brand mostra inoltre nella videoanimazione il suo palpitare, il suo carattere emotivo ed empatico col consumatore (o dovremmo qui dire, fruitore).” Ivana Spinelli
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Ente Comunale di Consumo
a cura di Claudio Libero Pisano
CIAC Centro Internazionale di Arte Contemporanea di Genazzano (RM)
10.12.2010-06.03.2011
artisti:
Francesco Arena, Arianna Carossa, David Casini, Luca Coser, Raffaella Crispino, Giovanni De Angelis, Rä di Martino, Rocco Dubbini, Marco Fedele di Catrano, Silvia Giambrone, Nicola Gobbetto, Diego Iaia, Domenico Mangano, Sandro Mele, Eugenio Percossi, Alessandro Piangiamore, Moira Ricci, Vincenzo Rulli, Barbara Salvucci, Matteo Sanna, Alice Schivardi, Ivana Spinelli.
Il CIAC, Centro Internazionale per l’Arte Contemporanea – Castello Colonna, presenta una collettiva con 22 artisti impegnati a realizzare le opere sul progetto Ente Comunale di Consumo. Questa mostra è nata dal ritrovamento fortuito di un quantitativo di fogli oleati di carta con il logo dell’ECC utilizzata per l’incarto del burro.
Settembre 1946: un decreto legge dà vita agli Enti Comunali di Consumo, destinati al rifornimento alimentare delle famiglie indigenti. È un’Italia povera, devastata dal secondo conflitto mondiale, finito solo un anno prima; ma è anche un’Italia che promuove alcune importanti politiche assistenziali. Gli ECC acquistano e vendono a prezzi calmierati beni di prima necessità. Manca una manciata d’anni all’inizio del boom economico, ma l’ECC resiste anche all’arrivo del benessere. Pane, pasta e burro restano i prodotti che le famiglie meno abbienti continuano a comprare all’ECC. Dalla metà degli anni Settanta, si registra l’inizio del declino degli Enti Comunali di Consumo, che diminuiscono col ridimensionarsi delle politiche assistenziali dello Stato, lentamente escono dalle abitudini e poi dalla memoria degli Italiani. Oggi sembrano essersi dissolti i ricordi di questa istituzione dell’immediato dopoguerra; rimane solo il luogo evocativo di una vecchia storia che non ha lasciato tracce. E’ un percorso sulla memoria di un paese, su come, non troppi anni fa, si viveva e si percepiva l’idea della ricchezza e della povertà. Gli artisti hanno lavorato nella massima libertà creativa, scegliendo se e come utilizzare la carta secondo la loro esclusiva poetica e il loro linguaggio. Che si sia trattato di un video, un disegno, un’elaborazione tridimensionale, ogni artista
ha espresso la sua personale visione di questo racconto, e ci ha restituito una memoria o una ipotesi di futuro variegata. Da questa molteplicità di lenti, il nostro passato diviene un caleidoscopio con il quale provare a immaginare un’altra idea del mondo.
Project by Ivana Spinelli started in 2011.
DIMMI NO :: SAY “NO”TO ME is a project that originated from a reflection about “selling”, on the occasion of the exhibiton “Non tutto è in vendita” (Not all is for sale), curated by Raffaele Gavarro, Bologna, 2011.
Through facebook I invited people to join in the project and answer two questions: What can’t be sold? and What would you never sell? In other words, which things have to be defended, rescued from monetization and bargaining? For two weeks these questions were repeated in my facebook-profile and all the comments/answers were recorded and collected in a small book, also reporting time and date.
What to sell is also a critical point in sociological research.
“Dimmi No” is a work in progress, to be continued in different languages.
http://www.facebook.com/pages/Dimmi-No-Say-no-to-Me/198605686823452?v=wall
Exhibition view: NON TUTTO E’ IN VENDITA, a cura di Raffaele Gavarro, Galleria OltreDimore, Bologna, 2011
Video installation, book.
Music by Modern Institute (Teho Teardo e Martina Bertoni)
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WHAT WOULD YOU NEVER SELL? @ TAKE ME (I’M YOURS)
7 ottobre 2017, es parcheggio Giuriolo, Bologna
Da un’idea di Christian Boltanski, Take Me (I’m Yours) reinventa le regole con cui si fa esperienza di un’opera d’arte: i lavori esposti si possono toccare, usare o addirittura portare via gratuitamente. Una “dispersione amichevole” che invita alla rielaborazione ludica e ironica dei processi di creazione dei valori dell’arte. Non è una mostra e neanche un’installazione temporanea, Take Me (I’m Yours) è una vera e propria performance collettiva, un’insolita fiera dell’arte dove i protagonisti sono i partecipanti stessi, invitati a svuotare fisicamente lo spazio che li circonda e a compiere tutto quanto è di norma vietato fare in un museo. In occasione di “Anime. Di luogo in luogo”, progetto speciale 2017 del Comune di Bologna, Christian Boltanski ha scelto di coinvolgere direttamente l’Accademia di Belle Arti di Bologna per comporre l’ultimo tassello del mosaico di eventi, incontri e iniziative a lui dedicate dalla città. Con il coordinamento di Danilo Eccher, curatore dell’intero progetto speciale e in collaborazione con MAMbo, 30 insegnanti e 210 studenti dell’Accademia hanno accettato la sfida del celebre artista francese per realizzare centinaia di opere d’arte da disperdere amichevolmente nel giro di poche ore. Di assoluta novità anche lo spazio individuato: fuori dai musei e dai luoghi istituzionali, Take Me (I’m Yours) si riappropria a Bologna di un edificio abbandonato di periferia, allestendo temporaneamente il suo mercato presso l’ex parcheggio sopraelevato Giuriolo, prefigurando in chiave culturale, il futuro di questa affascinante struttura, già coinvolta in un ambizioso progetto della Fondazione Cineteca di Bologna per la realizzazione di un nuovo polo tecnico-archivistico.
LA ZATTERA [ SALARIO MINIMO CONTRO LIVELLO DI POVERTÀ ] _
cartoni, lamiera ondulata riciclata, parquet, legno,acrilico / paperboard, corrugated recycled iron, parquet, wood, acrylic
148 x 149 x 10 cm, 2016
TRASCENDENZA SUSSISTENZA _
adesivo murale / wall sticker
50 cm, 2016
CCNL TRADUZIONI _
stampa su telo sintetico, alluminio anodizzato/ print on synthetic cloth, aluminum
107 x 290 x 79 cm, 2016
LEGGI NAZIONALI SUL SALARIO MINIMO _
performance, dvd video + cd audio, 40 min., 2016
CORPO CAPITALE LINGUAGGIO _
pastello e inchiostro di china su carta e carta lucida/ pastel and indian ink on paper and glossy paper
30 x 38,2 cm cad., 2016
SALARIO _
pastello e spilli su carta lucida su libro / pastel and pins on glossy paper on book
36,5 x 21,5 x 7 cm, 2016
MAPPA CONCETTUALE _
stampa su carta lucida / print on glossy paper
75 x 90 cm, 2016
ph. Stefano Maniero
#scultura #sculpture #disegno #drawing
LEGGI NAZIONALI SUL SALARIO MINIMO >>> PERFORMANCE 1
MINIMUM: VOCI >>> PERFORMANCE 2
“Minimum tackles the ethical and political essence of translation between idea and action. Minimum positions the worker’s body in the capitalist social relation, where wages translate body into a commodity, translating into money the minimum reproduction of that body: its minimum repeatability, its livelihood and, in final analysis, its very possibility of existence. Thus, the capitalist economic relationship between capital and labor translates into a social relationship that turns the worker’s power in bargaining commodity: the economic and social relationship translates into law, and the law is reflected in the biological body of the worker and his/her emotional and social relationships in daily life.” Silvana Borutti
From Orient to North Africa, returning to Eastern Europe and until South America: different countries, even different continents, contribute to create “Made in Italy” products. Italian brands design and commission to other countries textiles, accessories, embroidery, clothing segments. After the production, they travel (backward) to the headquarters where they become final products. “Made in Italy”, therefore, means made in the world. Geography explodes. Languages meet. Each language conveys a different way to see reality, therefore to change language is equivalent to a perceptual gap.
Minimum puts in place, through the act of translation, different ways of codifying and regulating the worker. It focuses on language used in the laws about minimum wage in those countries that mostly contribute to the production of Italian textile sector. Language establishes categories, definitions; it quantifies the worker’s time and space, his/her duties, skills, level.
Through translation, a language exchange and a trip take place, where the minimum wage laws of eight of the countries that mostly contribute to produce the Made in Italy and the same Italian law are taken into consideration. The project focuses on the textile industry (fashion as production of objects and imaginary) for building a dialogue, through laws on minimum wages, among countries offering the brand (the imaginary) and countries providing packaging or manufacturing (either in whole or in part). An existing and at the same time continually changing dialogue, in the most obvious form as exchange of goods and business, but also strongly as exchange of views.
The artist’s research results in the exhibition with a series of new works – installations, sculptures and drawings – exchanging meaning between image and text, between idea and action, approaching themes of philosophical aesthetics. Minimum is also an artist’s book, where translation is an encounter of differences. The book includes critical texts written by Franco Berardi Bifo, Silvana Borutti and Matthias Reichelt.
#minimumwage #translation #madeinitaly #code #worker #artistbook #body #unemployment #babilonia #povertyline #explodedgeography
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“Minimum investe la sostanza etica e politica della traduzione tra idea e azione. Minimum è un significato che investe il corpo del lavoratore nel rapporto sociale capitalistico, dove il dispositivo del salario traduce il corpo in merce, traducendo in denaro la riproduzione minima di quel corpo: la sua ripetibilità minima, la sua sussistenza, in ultima analisi, la sua stessa possibilità di esistenza. Così la relazione economica capitalistica tra capitale e lavoro si traduce in una relazione sociale che trasforma la forza del lavoratore in merce di scambio: la relazione economico-sociale si traduce nella parola nomica della legge, e l’enunciato della legge si traduce nel corpo biologico del lavoratore e investe il quotidiano delle sue relazioni affettive e sociali.” Silvana Borutti
Dall’Oriente al nord dell’Africa, tornando all’est Europa e fino al sud America: paesi appartenenti a continenti diversi, contribuiscono a creare i prodotti “Made in Italy”. Tessuti, accessori, ricami, parti di abiti, disegnati e commissionati da brand italiani, vengono realizzati e spediti, viaggiando (a ritroso) fino alla sede in cui verranno confezionati nei prodotti finali. “Fatto in Italia” significa dunque fatto nel mondo. Esplode la geografia. Si incontrano i linguaggi. A ogni lingua è sotteso un modo di vedere la realtà, dunque cambiare lingua equivale a uno scarto percettivo.
Minimum mette in campo, attraverso l’atto della traduzione, diversi modi di codificare e regolamentare il lavoratore. Si concentra sul linguaggio utilizzato nelle normative relative al salario minimo dei paesi che maggiormente contribuiscono alle produzioni del tessile Italiano. Linguaggio che stabilisce categorie e definizioni, che quantifica il tempo e lo spazio di azione del lavoratore, le sue mansioni, le sue abilità, il suo livello.
Il progetto effettua attraverso la traduzione, uno scambio linguistico e un viaggio dove le leggi sul salario minimo di otto tra i paesi che maggiormente concorrono a produrre il Made in Italy, si confrontano con la legge italiana. Il progetto si sofferma sul settore del tessile (moda come produzione di oggetti e di immaginario) per mettere in campo un dialogo, attraverso le leggi vigenti sul salario minimo, tra paesi che propongono il brand (l’immaginario) e paesi che realizzano la confezione o manifattura (in tutto o in parte). Un dialogo che esiste e si trasforma continuamente, nella forma più evidente come scambio di merci e affari, ma anche fortemente in questo scambio di visioni.
La ricerca dell’artista si traduce in mostra con una serie di lavori inediti – installazioni, sculture e disegni – che scambiano significati tra immagine e testo tra idea ed azione, avvicinandosi a temi di un’estetica filosofica.
Minimum è anche un libro d’artista al centro del quale la traduzione viene usata come incontro di differenze. Nel libro sono presenti testi critici di Franco “Bifo” Berardi, Silvana Borutti e Matthias Reichelt.